Minimo, modesto, mite, moderato.

Nel discorso del 2014 alla delegazione dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale, Papa Francesco ha segnalato che “si è affievolita la concezione del diritto penale come ultima ratio”, attribuendogli invece scopi di “risanamento” sociale che, in realtà, non può e non riesce a perseguire. Il populismo penale (una forma di estremismo o massimalismo punitivo) può essere di destra o di sinistra. Anche il minimalismo può essere di destra o di sinistra: è una proposta di deflazione penale e di pacificazione sociale.

Una visione minimalista, l’idea di un diritto minimo, modesto, mite affondano le proprie radici in una teoria fallibilista della natura umana: affonda le sue radici nel socratico “so di non sapere” e arriva fino al celebre “elogio della mitezza” di Norberto Bobbio. La bibliografia su questi temi è enorme (basti pensare agli studi sul ruolo dell’incertezza nelle scelte economiche, a quelli sulla razionalità limitata e agli sviluppi recenti delle scienze cognitive).

C’è bisogno di una cultura che tenga conto in maniera specifica di questi temi! Perché è assai rilevante l’applicazione al diritto di questa impostazione, in numerosi campi, a cominciare dalla enorme letteratura sulle condanne a morte per errore negli Stati Uniti (per non parlare poi di quanto è stato assai polemicamente scritto sugli errori giudiziari in Italia).

Nel nostro settore di interesse questa teoria porta alla proposta di un diritto minimo, modesto, mite. Non nella quantità o nella incisività, ma nella prospettiva, perché consapevole dei limiti della conoscenza umana e della conoscenza criminologica in particolare. Dunque, non va confusa con il “diritto penale minimo” che ha un suo specifico percorso culturale da Sandro Baratta a Magistratura Democratica, e che è un concetto parallelo e contrapposto a quel «populismo penale» che spesso sarebbe soltanto preoccupato di accendere le paure della popolazione. In quella prospettiva si sottolinea che “le indagini di vittimizzazione hanno ormai consentito di appurare che, nei Paesi occidentali almeno, i condannati detenuti costituiscono soltanto il 2-3 % di coloro che delinquono”. Tra minimalismo e “diritto penale minimo” c’è  in parte una sovrapposizione, ma c’è anche una distinzione netta: i problemi di ordine pubblico e di sicurezza sottolineati dal populismo penale non sono inesistenti (anche se presentati in maniera distorta).  Da una parte si dice che il populismo penale sarebbe preoccupato soltanto di accendere le paure della popolazione, per lucrare successi elettorali. Dall’altra parte si dice che il giudice penale non può prendere in primaria considerazione gli scopi di moralizzazione, perché, a garanzia dei cittadini, la definizione di un reato deve rispondere a criteri di tassatività e tipicità. Lo Stato, la Politica, la collettività non possono pensare di risolvere problemi sociali e istituzionali controversi lasciandoli a un Pubblico Ministero. Nella modernità, il desiderio privato di “fare giustizia” è stato assegnato dai cittadini  allo Stato, ma nel rispetto delle regole, tra le quali al primo posto è il rispetto dei diritti e delle libertà del cittadino.

La cultura giuridica moderna (con Montesquieu in maniera particolare) ha messo in rilievo un concetto: ogni potere tende inevitabilmente all’abuso, dunque deve essere limitato e controllato. Per alcuni controversi risultati del populismo penale, vedi:

http://www.linkiesta.it/it/article/2016/08/19/omicidio-stradale-la-legge-e-un-flop-boom-di-omissioni-di-soccorso-e-f/31521

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